Intervista con Giuseppe Gagliardi, regista calabrese

“Per un secolo abbiamo offerto il nostro sudore e le nostre braccia. Per fortuna negli ultimi 20 anni c’è una Calabria, nel mondo, fatta di grandi teste”.

Gagliardi2Giuseppe Gagliardi è un giovane regista e sceneggiatore italiano. Non più emergente, si potrebbe dire, visto il successo delle sue pellicole. Calabrese, di Saracena in provincia di Cosenza, inizia la sua carriera realizzando validi cortometraggi, come  Nunca Pasa Nada (1998), Uomini (1999),  Peperoni (2001, che ha vinto il Sacher d’Argento), Uomini (2001), Una storia (2001), Era una notte (2002), Camera C3 (2004).

Nel 2003 firma il documentario musicale Doichlanda e l’anno seguente il videoclip dei Mambassa, noto gruppo pop-rock-folk-punk piemontese, “Stop”.  Doichlanda, che si è rivelato un vero successo, è il viaggio di una band etno-rock nei ristoranti calabresi in Germania. Un viaggio che racconta, attraverso i volti degli emigranti, i cambiamenti, le contraddizioni, il lato amaro e al tempo stesso gioviale della nuova emigrazione calabrese. Suo anche il videoclip di “Grande Sud”, la canzone che Eugenio Bennato ha portato a Sanremo nel 2008.

Il debutto cinematografico vero e proprio avviene però con un mockumentary, La vera leggenda di Tony Vilar (2006), la storia di un cantante melodico sudamericano degli anni Sessanta (quello di cuando calienta el sol), che vede la sua carriera distrutta per la caduta dei suoi capelli che indossa durante un’esibizione. Ancora una storia di emigrazione, dunque, bella e paradossale, un po’ paradigmatica, come tutte le storie di Gagliardi. Come ha scritto la critica, in questo film “Gagliardi mette un personaggio reale al centro di un finto documentario caciarone e scanzonato, ma dove il folklore si miscela con lo sberleffo malinconico, con la stranezza stravagante”.

Nel 2011 il grande salto, la vera ribalta, con un altro film biografico, ma di ben più alto spessore: Tatanka, tratto dalla raccolta “La bellezza e l’inferno” di Roberto Saviano, edita da Mondadori. Il film racconta la storia di un ragazzo (Clemente Russo) vissuto a Marcianise, Caserta, insieme ad un altro amico. I due una volta cresciuti prenderanno due strade diverse: Clemente Russo diventerà campione dei pesi massimi a Chicago nel 2007, l’amico invece diverrà un boss mafioso. Ora un successo europeo: 1992, la fiction per Sky con Stefano Accorsi, ambientata nella Milano di Tangentopoli.

Tu sei ormai quello che si potrebbe definire un “calabrese di successo”.  I tuoi film sono conosciuti in tutto il mondo, meritatamente. Il tuo rapporto con la Calabria, col Sud più in generale, rimane comunque un rapporto “speciale”, come si evince dalle storie che ci proponi.  Parliamo un po’ di questo rapporto..

Devo molto al luogo dove sono cresciuto. Mi ha dato gli strumenti necessari, l’ironia giusta e il desiderio di fare. Mi piace pensare alla Calabria come una Paese in via di sviluppo. Come quei piccoli staterelli in ritardo su molte cose, che però hanno voglia di crescere. Così penso che un giorno anche la nostra vituperata terra possa diventare un luogo migliore, ‘sviluppato’. Ma le cose non cambiano dalla sera alla mattina. Bisogna che ognuno di noi dia il suo piccolo contributo. Io cerco di farlo. Non sono fuggito. Parte della mia testa e del mio cuore è sempre qui.

Quando senti le parole “Mezzogiorno” e “Calabria” a cosa pensi immediatamente?

 Penso a un luogo pieno di profumi, tanti quante sono le contraddizioni che la regolano. Molte delle espressioni artistiche – e non solo – più importanti della storia dell’umanità sono venute fuori da luoghi e contesti difficili. Questo deve spronarci, deve darci ogni giorno la voglia di raccontarli, in modo realistico e poetico allo stesso tempo. La vera crisi del cinema non sta nei numeri, ma nell’immaginario che propone, un immaginario inquinato dalla televisione, come fosse una scoria radioattiva.

 Nel Mezzogiorno è sempre più forte il disincanto verso le istituzioni e la politica, c’è sfiducia nella loro capacità di affrontare i tanti problemi che rimangono da sempre lì, irrisolti, dalla disoccupazione alla criminalità, passando per la sanità e le terribili questioni ambientali ancora aperte. Qual è il punto di vista dell’intellettuale Gagliardi su questo dato?

 Credo molto nelle potenzialità del singolo e dei gruppi. Mi sembra ci sia un timido risveglio civile, ma è ancora troppo debole. Ognuno deve riuscire a trovare il modo per convincere gli altri a migliorarsi. La politica ha un grande compito, ma è quasi completamente lontana dai bisogni reali. Non bastano i convegni, l’unica forma conosciuta al sud per parlare dei problemi. Ci sono migliaia di convegni ogni anno. Basta. Le politiche sociali e culturali devono partire da questioni concrete, anche semplici, e gli investimenti devono essere destinati a progetti che abbiano una ricaduta reale e non per forza immediata.

 Nei tuoi film ha avuto molto spazio la tematica dell’emigrazione. Che Calabria si incontra fuori dalla Calabria?

I calabresi sono una grandissima forza, in tutto il mondo. Parlo di quella gigantesca fetta ‘sana’, non della grande azienda ‘ndrangheta (importante scriverlo con la lettera minuscola, attenzione, molti fanno l’errore imperdonabile di scriverla con la “N” maiuscola).

Per un secolo abbiamo offerto il nostro sudore e le nostre braccia. Per fortuna negli ultimi 20 anni c’è una Calabria, nel mondo, fatta di grandi teste.

Sto pensando a un piccolo film per raccontare questa nuova emigrazione di nuovi lavoratori, la stragrande maggioranza ha un titolo di studio ed esprime professionalità di alto livello. Il fatto che vadano altrove non per forza rappresenta una sconfitta. La ricaduta sulla nostra regione potrebbe rivelarsi prodigiosa.

 Tre aggettivi per descrivere la tua terra.

 Tragica. Profumata. Spigolosa.