Anche la Calabria aderisce ai Corridoi Umanitari. Un progetto pilota, ideato e realizzato nel nostro Paese dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e alla Tavola Valdese, quale alternativa “di solidarietà e sicurezza” ai viaggi della morte nel Mediterraneo. Mentre le cifre degli “assassinii” in mare aumentano a dismisura, mentre la politica esalta demagogicamente la connessione tra accoglienza e mafia, c’è una parte del terzo settore e della società civile e religiosa che si batte per una soluzione ecumenica (universale) alla questione. Abbiamo chiesto a Mariella De Martino, presidente dell’Associazione interculturale International House, che ha abbracciato l’iniziativa sul territorio di Reggio Calabria, di raccontarci questa esperienza.
“ Abbiamo aderito come associazione ai Corridoi Umanitari perché crediamo si tratti di un modello di accoglienza sostenibile. Non parliamo di grandi numeri e questo ovviamente tiene lontani gli appetiti. Quelli, per intenderci, che ultimamente hanno fatto accendere i riflettori sui CARA. In questo caso, al contrario, si tratta di ospitare poche famiglie e il budget non è profittevole: serve a garantire la consulenza legale, psicologica, oltre ovviamente al sostegno materiale e all’integrazione dei rifugiati”.
Alle associazioni ospitanti, quindi, è riconosciuto un benefit economico? Chi finanzia l’iniziativa?
“Si, le associazioni ricevono del budget ma, come ho precisato, si tratta di una cifra non da business, erogata dagli enti promotori del progetto. Sono loro che autofinanziano l’iniziativa grazie all’otto per mille alla Chiesa Valdese e ad altre raccolte di fondi. Non ha quindi nessun costo per lo Stato Italiano. Questi enti hanno siglato con il governo un protocollo d’intesa per cui s’impegnano a selezionare i rifugiati nei paesi interessati dal progetto, predisponendo una lista di potenziali beneficiari da trasmettere alle autorità consolari italiane. Il percorso d’accoglienza inizia lì, non si aspetta che i profughi compiano un viaggio della speranza, a rischio della loro incolumità. Le liste vengono controllate dal Ministero dell’Interno e in seguito vengono rilasciati i visti umanitari, validi solo per l’Italia, consentendo ai rifugiati l’ingresso legale nel paese e la permanenza durante l’iter burocratico per la concessione dell’asilo politico. Si tratta di un visto regolamentato dalla legislazione comunitaria, in particolare dall’art. 25 del Regolamento (CE) 810 del 2009, conosciuto anche come “codice dei visti””.
Questo approccio è una garanzia per la sicurezza?!
“Certamente. In un Paese che non riesce a creare una governance dell’accoglienza, questo modello rappresenta una buona prassi. La sicurezza è per entrambe le parti: per loro che arrivano in Italia comodamente in aereo e per il paese ospitante, perché i controlli sono scrupolosi e vengono prese anche le impronte digitali. Un’altra formula interessante prevista dallo stesso articolo è la sponsorship. In sostanza un cittadino o un’associazione possono fare da garante per uno straniero. Una modalità già sperimentata dallo Stato italiano, ma poi abbandonata. Sarebbe ora di ripristinarla!”.
E quando arrivano in Italia, cosa succede? Esiste una procedura da rispettare per l’integrazione?
“No. Noi abbiamo firmato una convenzione con gli enti organizzatori e c’è stato indicato il tipo di supporto da fornire alle famiglie. La modalità la stabiliamo noi. Con la mia associazione mi occupo di accoglienza da tanti anni e quello che cerco di attuare è l’integrazione sostenibile. Il nostro obiettivo è d’indirizzarli verso l’autonomia. Ad esempio, al momento abbiamo accolto due famiglie per un totale di 9 persone. Ci siamo occupati di trovargli un alloggio nel centro, in modo da favorirne gli spostamenti e li abbiamo introdotti nella rete sociale. È molto importante che non si sentano soli. Per questo la prima cosa è stata garantirgli la possibilità di continuare il loro culto. Essendo cristiani protestanti li abbiamo presentati alla comunità valdese. Altro elemento fondamentale è la lingua. Hanno iniziato subito il corso di alfabetizzazione e, per i bambini, abbiamo predisposto l’inserimento scolastico. Il percorso verso l’autonomia implica che siano capaci di capire i costi della vita in Italia, perché possano gestire il budget disponibile in maniera adeguata. Anche l’aspetto psicologico è da tenere in considerazione: abbiamo sottoscritto con ognuno di loro un patto d’accoglienza condiviso, in cui si richiede la partecipazione attiva di ogni assistito. A settembre i capi famiglia inizieranno il tirocinio per l’inserimento lavorativo. Devono riuscire a trovare lavoro entro nove mesi”.
Altrimenti, cosa succede?
“Nove mesi sono quelli coperti dal progetto. Poi devono riuscire ad essere autosufficienti. Stiamo cercando contatti per il tirocinio in laboratori di falegnameria: sono queste le loro competenze. La nostra filosofia è d’integrare valorizzando le somiglianze. Sono persone come noi, con i loro sogni: specialmente i ragazzi. Europeizzati, con sani principi d’educazione hanno desideri da adolescenti”.
Ogni progetto contiene in sé un grande insegnamento. Come associazione cosa vi sta dando questa iniziativa?
Sono sempre più convinta che dobbiamo orientarci verso l’accoglienza sostenibile. Ho deciso di dare un nome a questa esperienza, “Landing in Calabria” e di renderla una prassi sostenibile per l’ospitalità”.
Ultima curiosità: come siete entrati in contatto con i Corridoi Umanitari?
Noi, come associazione no profit che si occupa d’integrazione, facciamo parte della rete dei promotori del progetto. Gli organizzatori cercano associazioni ospitanti tra i loro canali fiduciari, proprio per garantire che il processo d’integrazione si svolga in modo trasparente e regolare. Oltre a noi, sappiamo che un’altra organizzazione si sta occupando di ospitare altre due famiglie nel territorio di Gioiosa”.
Certo, sono ancora contenuti i numeri dei viaggi della legalità promossi dai Corridoi umanitari, rispetto alle traversate della morte: si parla di 1000 persone in tutto. Settecento circa sono già arrivate, le altre arriveranno entro ottobre 2017. Si tratta di persone scelte tra le categorie più vulnerabili (disabili e famiglie con bambini). Guardiamo però con fiducia alla possibilità di estendere questa buona prassi, anche in altri Paesi europei e d’incentivarne l’utilizzo sul territorio italiano.
Intanto, chi volesse sostenere il progetto può donare l’8xmille alla Chiesa Valdese