In Calabria gli ulivi che “camminano”

Leone Salvatore Viola
Leone Salvatore Viola

A quasi quindici anni dalla pubblicazione del saggio “Gli ulivi camminano” (L’autore Libri Firenze, 2001) di Leone Salvatore Viola, l’ingegnere di Saracena, in provincia di Cosenza, con la passione per la storia e le tradizioni locali, scomparso prematuramente qualche anno fa, vale la pena ritornare su un lavoro di ricerca, forse troppo poco valorizzato in questi anni, che rivela aspetti davvero inediti a proposito degli ulivi millenari della Calabria. L’opera, oltre a trattare, in linea generale, del patrimonio storico e naturalistico di alcuni territori della Sibaritide e del Pollino, conduce il lettore ad una stupefacente scoperta, rivelando, al tempo stesso, suggestive connessioni tra scienza e storia, tra l’opera umana e il “naturale”. Confrontando i risultati di una lunga e periziosa ricerca, ma anche attraverso un’intensa opera di monitoraggio, «che solo una mente razionale e dedita al calcolo come quella di un ingegnere» poteva condurre, l’autore svela, in primo luogo, la metamorfosi delle piante di ulivo, attraverso tre fasi: la scissione, la rigenerazione e la deriva. 

A seguito della separazione da un ceppo originario, i frammenti di tronco, ricoperti di corteccia da un lato, rinsecchiti dall’altro, prendono la loro strada, quindi, dando vita a nuove piante, “camminando”. Spiega Viola: «La pianta è perciò caratterizzata da un lato che vive e da un lato che muore, ossia da un margine di accrescimento e da un margine di consumazione. Ne risulta perciò una pianta che “cammina”, andando alla deriva nella direzione della parte verde del tronco, ossia del margine di accrescimento».

Ulivo di 1500 anni
Ulivo di 1500 anni

Non solo. La deriva, o il “camminamento” se si vuole, avviene in modo irregolare, ma la contorsione del tronco è sempre sinistrorsa, in senso antiorario. Perché? «L’ulivo – scrive l’autore – specialmente dopo la scissione, si comporta un po’ come il girasole: le sue chiome con le loro foglie cercano di catturare la massima luce possibile proveniente dal sole; e per fare ciò ne rincorrono il percorso da est verso ovest». Certo, la ricerca del sole è frequente in molte altre specie botaniche, ma non in altre piante arboree. Nel caso degli ulivi, secondo Viola, il fenomeno è strettamente legato alla “scissione” della pianta, perché «il tronco, smembrandosi, vede diminuire la sua resistenza meccanica alla torsione», per cui «la forza torcente dovuta all’effetto girasole prevale sulla resistenza opposta dal fusto». Un fenomeno “lungo”, comunque, che si sviluppa nell’arco di secoli, se non proprio di millenni.

Ma non è tutto. Viola tenta anche una lettura storico-antropologica del fenomeno, ipotizzando un «parallelismo tra storia degli uomini e storia degli ulivi, tra l’età delle città e quella degli alberi», come scrive Mario Alfano nella sua prefazione al volume. Il nocciolo della questione è che la coltivazione dell’ulivo in Calabria, e segnatamente nei territori su cui l’osservazione del Viola si concentra, risalirebbe ad un periodo antichissimo della storia, o della proto-storia, della nostra regione.

Molto probabilmente, tale coltura fu introdotta «ad opera di antichissimi navigatori, provenienti dalla Turchia e dalla Grecia, che portarono i primi semi probabilmente come riserva alimentare», in epoca molto antecedente alla colonizzazione greca, che, com’è noto, iniziò nel VIII secolo a.C. «E’ una realtà – scrive Viola – che l’ulivo in Calabria si coltivava già almeno 1200 anni a.C.». Una convinzione suffragata anche dalla tipologia di alcune piante studiate dall’autore nel territorio di Saracena, il comune che gli aveva dato i natali. Piante con un «aspetto particolare», per forma e dimensioni. Ma soprattutto, piante che insistono in aree contigue ad antichi

Ulivo di 2000 anni
Ulivo di 2000 anni

insediamenti umani, risalenti, alcuni, addirittura all’età del bronzo.

Pino Aprile, nel suo fortunato libro Terroni (Piemme,2013), introduce, perfino, ad un’altra suggestione: gli uomini, e le donne, che portarono nella Valle del Garga, in territorio di Saracena, ed in altri territori della Calabria, la coltivazione degli ulivi potevano essere, addirittura, gli scampati alla guerra di Troia. «Da un commento di Servio al I libro delle Georgiche di Virgilio, si apprende – scrive Aprile – di un castello, Gargaròn, fondato in Calabria da centocinquanta troiani che approdarono nel porto di Taranto, dopo la distruzione della loro città». Gargaròn e Garga, solo una suggestione?

Dalla storia e dall’archeobotanica all’economia, ed al presente, il passo è breve. Viola è convinto che vada riconsiderata la funzione di questi alberi, ben oltre il dato agricolo-alimentare e strettamente produttivo. Trattandosi di veri e propri monumenti storico-paesaggistici, da cui è possibile ricavare informazioni per una tessitura del discorso sulla storia di antiche civiltà, gli stessi dovrebbero essere al centro di politiche pubbliche con finalità di promozione, valorizzazione a fini turistici e di studio, di tutela. Un po’ come avviene per altre specie botaniche ed arboree, come il noto Pino Loricato. O, forse, sarebbe meglio dire “come avviene per chiese e palazzi, dipinti e sculture, monumenti ed altre opere dell’ingegno umano”.

Ulivi di 2800 anni
Ulivi di 2800 anni

Antonello Viola, che di Leone Salvatore è il figlio, da noi interpellato, sul punto è stato molto efficace: «Ci si rende conto, a questo punto, che la storia e l’archeologia prendono vita sotto forma vegetale; quando si pensava che il modo più gratificante per poter “toccare” le epoche passate fosse afferrare un antica anfora o una moneta d’oro, ecco che ci si accorge dell’esistenza di veri e propri testimoni ancora in vita di molteplici civiltà. E tutto ciò è sempre stato sotto i nostri occhi, quelli dei nostri genitori, dei nostri nonni e dei nostri antenati più lontani».