Intervista a Giuseppe Albanese, pianista nel mondo col cuore in Calabria

Il giovane pianista Giuseppe Albanese è tra i più ricercati della sua generazione a livello mondiale. Va citato il primo premio che ne ha attestato il merito nel 2003, il  “Vendome Prize”, con finali a Londra e Lisbona: un evento definito da Le Figaro “il concorso più prestigioso del mondo attuale”. Danno prova del suo talento i concerti tenuti  nei più prestigiosi teatri e luoghi di cultura internazionale: tra maggio e giugno scorsi è stato al Cheongju Arts Centre e Tongyeong, in Corea, nell’ambito di due importanti eventi e nel corso della sua carriera è stato invitato per recital e concerti con orchestra da autorevoli ribalte internazionali quali – tra gli altri – il Metropolitan Museum, la Rockefeller University e la Steinway Hall di New York;  la Konzerthaus di Berlino, la Steinway Hall di Londra; la Salle Cortot di Parigi. In Italia si è esibito lo scorso settembre a Torino e a Milano nel contesto del festival MiTo e poi ancora a Verona nel teatro  Filarmonico. Ad ottobre ha interpretato Chopin a San Pietroburgo in Russia al Georgevsky Hall of Mikhailovsky Palace. Continuare a fare l’elenco dei luoghi delle sue esibizioni e dei numerosi premi ricevuti andrebbe a decurtare spazio all’intervista. L’ulteriore particolarità di Albanese è la possibilità del doppio sguardo ovvero l’occasione di poter esprimere la propria opinione avendo vissuto metà della sua vita al sud e metà in giro per il mondo.

 

Il suo ultimo album è intalbaneseeramente dedicato a Liszt mentre nel lavoro di debutto, “Fantasia” interpreta brani di Beethoven, Schubert e Schumann. Che rapporto ha con il concittadino Francesco Cilea, come mai non figura nel suo repertorio?

Il mio connubio con il grande Francesco Cilea esiste per diversi fattori: vivevo in via Cilea quando risiedevo a Palmi (città natale dello stesso maestro, n.d.a.). A gennaio 2004 debuttai al San Carlo di Napoli, sapendo che la prima de l’ “Adriana Lecouvreur” (una delle opere più note di Cilea, n.d.a.), avvenne nel 1904 proprio al San Carlo. Mi resi conto che cento anni dopo debuttavo in quello stesso luogo anch’io, un palmese, un calabrese. Cilea, pur essendo un compositore di fama mondiale, le cui opere sono apprezzate in tutto il mondo, non credo si sentisse profondamente pianista. Spesso scriveva brani a scopo didattico. Cilea ha lasciato qualche godibilissima gemma per pianoforte ma non tanto quanto altri grandi compositori.

So che lei, oltre alla ribalta dei teatri e palcoscenici noti in tutto il mondo, ha tenuto un concerto alla Pietrosa a Palmi, un luogo suggestivo. Che raffronto può darmi tra quell’esibizione e le performance successive, rispetto soprattutto all’aspetto emozionale?  

È molto forte nella mia memoria quell’evento: era il 6 agosto, più di dieci anni fa, giorno di commemorazione delle vittime  per le bombe di Hiroshima e Nagasaki; è stata veramente particolare la location, portare un pianoforte a coda fino a quel punto.  Ho suonato alla luce di una lampara, quella utilizzata dai pescatori la notte nelle barche, altro simbolo molto forte del sud. È stato meraviglioso suonare lì, con quella natura, con quel paesaggio, il “Notturno in do diesis” e la “Polacca – Fantasia” di Chopin: in quelle opere si avverte la lontananza sia geografica che temporale che sente l’autore nei confronti della sua patria. Ho un quadro in cui è rappresentato lo stretto di Messina visto da un punto preciso di Palmi. Sono andato via a diciotto a anni e vivo a Faenza, la mia vita è dominata dal viaggio. Suonare tra gli ulivi saraceni che solo nella nostra zona esistono e illuminati da quella lampara…il tutto ha avuto una forza ed un carattere identitario enorme.

Nel corso della sua formazione umanistica oltre che musicale, quanto ha influito la Calabria, essere nato a Palmi e aver vissuto l’infanzia e l’adolescenza nel Sud?

Non mi è sufficientemente chiaro: cerco e mi illudo che questa mia componente di persona meridionale, calabrese, venga fuori nel corso delle mie interpretazioni al pianoforte. Un certo calore nella mia comunicativa che non sia solo genetico ma che sia legato anche alla terra da cui provengo. Sono grato a Palmi perché lì si comprende il valore della cultura. Non in tutti i luoghi di cultura questo avviene, in Calabria e a Palmi sì.

Lei rientra in una sorta di categoria particolare, coloro che hanno vissuto fuori dalla città natale per tanto tempo necessario ad avere una visione piuttosto oggettiva di due realtà. Può dirmi come vede da fuori il territorio calabrese?

Io ho vissuto metà della mia vita al Sud, oggi noto da un lato un mio bisogno proprio climatico, quello che nella pianura padana stento ad accettare, questo grigio, questo freddo inospitale che si riflette molto nell’umore. Le esperienze negative ci sono state nella mia terra dal punto di vista professionale ma sia chiaro che non voglio essere assolutamente un detrattore. È sempre stato così: anche Chopin dovette lasciare la sua amata Polonia per andare a Parigi. Quello che mi tiene fuori non è assolutamente una voglia di andare via dalla mia terra ma una costrizione. Esistono però alcune abitudini di senso civico non rispettate: spesso vedo la Calabria maltrattata ma bella come me la ricordo. In questo senso sono andato via da una città di provincia per andare in un’altra città di provincia, non in una grande città, quindi il raffronto è ancor più oggettivo. Riuscire ad attuare e rispettare alcuni accorgimenti che influiscono nella vita quotidiana dei concittadini renderebbe senza dubbio migliore la qualità della vita dei calabresi. Ho sempre riconosciuto quella tenacia dei calabresi, una delle mie caratteristiche, tanto quanto il talento.

Lei pensa che ci sia una rivoluzione culturale in Calabria, che ci siano aspetti positivi secondo cui lei stesso possa tornare, a fronte di maggiori opportunità, in un futuro prossimo?

La speranza è l’elemento più importante in assoluto, nella vita di tutti: dovrei parlare a titolo personale, sono convinto però che ognuno vive per la speranza nel domani. Io vedo certamente delle spinte positive di rinnovamento e forse l’unico dato oggettivo negativo riguarda la cosiddetta “fuga dei cervelli” che non è un fatto esclusivo calabrese, sia ben chiaro, avviene a livello italiano.  Di cuore io mi auguro in modo particolare che la Calabria possa avere collegamenti meglio organizzati, che sia connessa, utilizzando un termine molto comune adesso: i trasporti, lo scambio culturale, vorrei che fosse sempre più integrata a livello nazionale. Non mancano gli stimoli in Calabria; posso assicurare che io sono fiero di affermare al mondo il mio essere calabrese.

L’intento di Yes Calabria è proprio quello di esportare nel mondo, dalla nostra terra, ciò che di buono c’è.

L’augurio maggiore che posso dare ai giovani calabresi è quello di non mollare mai, di fare propria questa fantastica dote di resistenza che è veramente fondamentale. E poi di pensare veramente il mondo piccolo piccolo, di non sentirsi così lontani dalle realtà che sono oggi più vicine, grazie ad internet, grazie ai viaggi. Vorrei fosse uno sprone, più che metterci in vetrina vorrei che fosse un museo vivo.

Voi che siete rimasti siete linfa vitale e vi auguro di rimanere più interconnessi possibile perché oggi ci sono i mezzi e vanno usati bene, sono strumenti potentissimi e possono portare a grandi risultati.