Una gemma rara, degna candidata a portavoce d’eccellenza del territorio calabrese in Italia e nel mondo, anche se ad oggi quasi del tutto sconosciuta a gran parte degli stessi abitanti della città del Pollino: è la cipolla bianca di Castrovillari, appartenente alla famiglia delle liliacee e coltivata regolarmente fino agli anni ’70 del secolo scorso, che ha rappresentato il fulcro del convegno dal titolo “La tutela delle produzioni tipiche” tenutosi giovedì 22 settembre presso il Castello Aragonese di Castrovillari nell’arco della manifestazione “Civitanova”, alla presenza di esponenti regionali di CIA, Confagricoltura e Coldiretti. Si tratta di una peculiarità dell’area di confine calabro-lucana estesa a pochi ettari di terreno, in particolare quelli afferenti alla località “Giardini”, nota soprattutto per le sorgenti d’acqua minerale dotate di canalette per irrigare i campi (le stesse sorgenti che affascinarono lo scrittore Norman Douglas nel corso del suo viaggio tra la Calabria e la Basilicata). Diversi gli aneddoti sulla cipolla bianca portati alla luce dal dottor Luigi Gallo dell’ARSAC: già, perché gli studi condotti dall’ente sull’ecotipo hanno consentito di ricostruirne la storia risalendo a quella che un tempo era chiamata la “Fiera della cipolla bianca di Castrovillari”, che aveva luogo ogni anno a Terranova da Sibari il 13 giugno, il giorno di Sant’Antonio; altra curiosità è il tipo particolare di baratto tramite il quale i coltivatori castrovillaresi offrivano le cipolle ai pastori lucani in cambio di formaggi. La semina cadeva il 16 luglio, in concomitanza delle celebrazioni per la Madonna del Carmelo, e il semenzaio veniva raccolto in agosto, mentre il resto dell’anno era dedicato alla coltivazione. Col tempo, però, il numero dei produttori si è ridotto drasticamente producendo un vuoto di circa due generazioni, un vuoto non soltanto temporale, ma principalmente di conoscenza. L’ARSAC ha inteso pertanto svolgere un’indagine sulle proprietà organolettiche dell’alimento, dalla quale è emersa una bassa concentrazione di acido pruvico, indice del grado di “pungenza” (in termini profani, la sostanza responsabile della tipica lacrimazione oculare che si avverte di norma affettando la cipolla), che ne fa una specie particolarmente dolce, oltre che sui vantaggi derivati da questo tipo di coltura che non necessita di particolari sofisticazioni dal punto di vista fitosanitario, ovvero trattamenti con sostanze e fertilizzanti chimici, e che pertanto risulta essere sostenibile da un punto di vista sia economico che ambientale. Un prodotto 100% naturale e bio sul quale sarebbe opportuno investire: dati economici alla mano, è stato dimostrato sempre dall’ARSAC che il reddito lordo annuo derivante dalla produzione di cipolla bianca ammonterebbe a circa 12000 euro, con un rischio d’impresa piuttosto ridotto e la possibilità di attingere a fondi del PSR: un’occasione rivolta soprattutto ai giovani imprenditori, poiché le tecniche di orticoltura sono semplici da apprendere – anche per i neofiti del settore -, e i tempi di coltivazione relativamente lunghi consentono di potersi dedicare nel contempo ad altre attività, creando così un argine efficace al fenomeno della disoccupazione e dell’emigrazione giovanile. In attesa di ricevere le tutele e i marchi d’eccellenza che spettano alla nostra cipolla, primo fra tutti il deco (denominazione comunale) già richiesto dal sindaco di Castrovillari Domenico Lo Polito alle autorità di competenza, la speranza è che questa perla calabrese possa varcare i confini dell’orto locale per affermarsi a pieno titolo su un mercato nazionale e internazionale al pari della cipolla rossa di Tropea, ormai famosa in tutto il mondo, e diventare un vanto del made in Italy di qualità. Questa aspirazione potrà realizzarsi soltanto attraverso un ritorno all’amore per la natura perché, com’è noto fin già dai fisiocratici, «tutto viene dalla terra», da sempre madre prodiga di tesori e ricchezze.
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