Sul palco Silvia Ajelli, autrice e interprete, alla regia Rosario Tedesco, intorno uno spazio scenico ridotto a pedane e fondale nero, con fari a illuminare brutalmente i pochissimi, essenziali, oggetti di una scena, evocativi dei momenti che hanno segnato la scelta di una giornalista, una madre, una moglie, una donna di saltare dall’alto latro della barricata, non limitarsi a scrivere la sua visione della politica ma viverla, imbracciando la lotta armata e la clandestinità. Certo, sono gli anni tra il Sessantotto e la metà dei Settanta e lo spettacolo, una produzione del Teatro Biondo di Palermo in collaborazione con le Orestiadi di Gibellina, sceglie una storia non convenzionale per indagare le utopie rivoluzionarie novecentesche non tanto nella loro accezione storica, politica, sociale, quanto nella dimensione profondamente femminile e umana di Ulrike Meinhof.
La giornalista e attivista tedesca dal ’68 orientò il suo pensiero verso una posizione sempre più radicale, fino a entrare in clandestinità e a votarsi alla lotta armata: dall’indignazione per la guerra in Vietnam e il dilagare dell’imperialismo americano alla protesta a fianco del movimento studentesco; dalla difesa dei diritti delle donne alle contestazioni contro la politica repressiva del governo tedesco, fino alla proclamazione della lotta armata. Accusata di quattro omicidi e 34 tentati omicidi fu processata, incarcerata e infine vittima, insieme ad alcuni compagni, di una morte violenta dalle cause mai del tutto chiarite.
Ma la storia di Ulrike colpisce il pubblico perché tocca i nervi scoperti non della stagione del terrore, mai del tutto risolta e affrontata in Italia ancor più che in Germania, quanto di una condizione femminile che, ieri come oggi, la società riduce a una dicotomia: se rifiuti di limitarti al tuo ruolo di madre, se getti la maschera dell’ipocrisia e vivi coerentemente ai tuoi ideali politici, non puoi che essere pazza. E anche l’etichetta di terrorista sbiadisce di fronte a quella di madre snaturata e donna scellerata.
Domani sempre al Cineteatro Metropolitano il reading dalla nuova co-produzione del festival e Mana Chuma Teatro: “f-Aìda. Eppur cantava ancora” di Salvatore Arena e Massimo Barilla, un racconto di guerre fratricide, un amore omosessuale mai consumato, una segregazione attenuata solo da vecchi dischi d’opera.
Domenica al Cilea “Bestemmia d’amore” di Enzo Avitabile e Pippo Delbono, un concerto in cui le parole diventano musica con per parlare di questo tempo volgare e sacro, nero e luminoso, duro e dolce (ticket 10€). Infine, fino al 4 aprile al Castello Aragonese (Torrione Sud, ingresso di fronte alla Chiesa degli Ottimati) in mostra l’installazione “Casalaina – Primo movimento: prologo del grillo” di Emilio Isgrò, a cura di Marco Bazzini.