I desaparecidos italo-argentini nel libro di Rossella Tallerico

argentinaAncora oggi, la questione dei “desaparecidos” rappresenta un capitolo aperto, perché c’è ancora da lavorare sulla verità e sulla memoria, oltre che, naturalmente, sul versante giudiziario. Una vicenda a prima vista “lontana”, consumatasi a migliaia e migliaia di chilometri da noi, eppure tanto “vicina”, sia per il peso che ha avuto l’italianità nella formazione della nazione argentina, sia per il profilo di molti suoi protagonisti, nel bene e nel male. Una storia, inoltre, che riguarda da vicino anche la Calabria, terra di origine di tante vittime, ma anche di alcuni carnefici.

E’ ciò di cui si parla nel libro di Rossella Tallerico “Impossibile gridare, si ulula. Storia di desaparecidos italo-argentini, uscito a settembre del 2015 nella Miscellanea di Studi storici del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università della Calabria, per i tipi di Aracne.

Il volume è stato  presentato lo scorso 2 gennaio presso la sala consiliare del Comune di Pentone (CZ), paese di origine della scrittrice, alla presenza di molti cittadini pentonesi e non solo. All’incontro, moderato da Vincenzo Marino, erano presenti, oltre all’autrice, il sindaco della piccola comunità Michele Merante, Luigi Pandolfi (giornalista), Mario Occhinero (membro dell’associazione 24 marzo) e Claudio Di Benedetto, figlio di Filippo Di Benedetto, tra i “giusti” in quella immane tragedia.

L’opera, oltre ad esaminare, dal lato storico e politico, gli anni della dittatura in Argentina, iniziata il 24 marzo 1976 con un golpe militare, e la cosiddetta Guerra Sucia, “guerra sporca”, un preciso piano di repressione degli oppositori mediante la pratica della desaparición –  sparizioni forzate o scomparse involontarie di cittadini inermi – dà conto anche di preziose storie individuali e di vicende umane e politiche che caratterizzarono quella stagione.

La giunta militare affermava di voler creare un’Argentina “nuova”, colpendo qualsiasi forma di manifestazione democratica del dissenso politico. Di fatto, venne programmata e organizzata una vera e propria campagna sociale che colpì tutti coloro che manifestavano un pensiero diverso dai “valori” difesi dal regime. La Guerra Sucia fu, a sua volta, una violazione dei diritti umani e civili attraverso detenzioni illegali, sequestri, torture e omicidi.

I militari argentini prelevavano i sospettati dalle loro case e li conducevano, senza alcun procedimento giudiziario, nei Centri di Detenzione allestiti in tutto il paese e, dopo lunghissime interrogazioni, violenze fisiche e psicologiche, cruenti torture, venivano fatti sparire. A questa barbarie non furono risparmiati neanche i neonati. La pratica del “Robo de los ninos” consisteva nel portare le madri gravide nei Centri di Detenzione, fatte partorire per poi ucciderle, mentre i bambini venivano affidati alle famiglie dei loro stessi aguzzini.

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Rossella Tallerico

La presentazione del volume è stata aperta dal moderatore Vincenzo Marino, il quale, tra le altre cose, ha affermato come «dietro ad ogni numero e ad ogni storia, c’è una vita, una tragedia che non finisce con la fine della dittatura argentina, ma che continua ancora oggi».

Luigi Pandolfi ha invece focalizzato l’attenzione sui risvolti economici della svolta autoritaria in Argentina, ribadendo l’attualità della vicenda «affinché le nuove generazioni ne siano consapevoli». Per l’esponente dell’associazione 24 marzo, Mario Occhinero, inceve, è stato molto importante parlare dei desaparecidos in una sede istituzionale «perché si tratta di vittime di terrorismo di Stato», ricordando l’opera di sensibilizzazione fatta insieme a Rossella Tallerico per la riapertura giudiziaria di un caso. Infine ha letto un saluto della sorella di Andres Bellizzi, desaparecidos originario di San Basile (CS), la cui vicenda è stata ricostruita nel libro.

Nel volume si parla anche di Filippo di Benedetto, lo “Schindler” calabrese che, insieme al vice-console di Buenos Aires Enrico Calamai, aiutò molti italiani a sfuggire dalle grinfie del regime. La sua vicenda è stata ricordata dal figlio, Claudio Di Benedetto, il quale ha sottolineato come il padre fin da giovane fosse stato un idealista, impegnandosi nelle lotte sindacali e antifasciste che gli fecero conoscere anche il carcere. Nel 1947 divenne sindaco di Saracena (CS), suo paese natale, lasciato poi nel 1952 per emigrare in Argentina dove si dedicò al suo mestiere di artigiano ebanista, «senza dimenticare mai la sua vera passione: la politica». Negli anni della dittatura, insieme a Calamai, l’unica persona che nell’ambasciata Italiana diede peso alle sue denunce, riuscì a salvare centinaia e centinaia di persone, facendole espatriare o nascondendole in luoghi sicuri, come la propria abitazione, al rischio della sua sicurezza e di quella dei suoi familiari.