Filippo di Benedetto, lo Schindler calabrese in ArgentinaFILIPPO DI BENEDETTO, LE SCHINDLER CALABRAIS EN ARGENTINEФилиппо жи Бенедетто – калабрийский Шиндлер в Аргентине

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Filippo Di Benedetto

Quanti in Calabria hanno sentito parlare di Filippo di Benedetto? E di Oskar Schindler? Di quest’ultimo sicuramente in tanti, anche grazie alla fortunata pellicola di Steven Spielberg, Schindler’s list, che qualche anno fa ha spopolato nei cinema di tutto il mondo. Del primo presumibilmente in pochi, ancorché la sua storia sia molto simile a quella dell’imprenditore tedesco. Non perché Filippo di Benedetto fosse stato un noto imprenditore, ma perché in Argentina, negli anni della dittatura, salvò dalla morte sicura centinaia di nostri connazionali.

Filippo Di Benedetto, nativo di Saracena in provincia di Cosenza, dove negli anni tra il 1947 e il 1949 era stato anche sindaco del PCI, nei primi anni cinquanta era emigrato in Argentina, a Buenos Aires. Come tanti dirigenti politici di periferia anch’egli era un artigiano, un falegname. Ma la sorte aveva riservato per lui un futuro ben più impegnativo. Nel paese sudamericano, oltre a distinguersi per le sue qualità di ebanista, continuò a coltivare la sua passione più grande, la politica, diventando ben presto il referente ufficiale del Partito Comunista Italiano in quelle lontane terre. Ma fu nel sindacato che profuse il suo impegno maggiore, come responsabile dell’ Inca-Cgil, il patronato del maggiore sindacato italiano, e poi come presidente della Filef, la Federazione Lavoratori Emigranti e Famiglie.

Quando nel 1976 i militari prendono il potere, Filippo di Benedetto è ormai una figura di primo piano tra gli emigrati italiani nel paese dei gauchos, un punto di riferimento politico e sindacale importantissimo per migliaia di connazionali, che a lui ed alla sua organizzazione si rivolgono per qualsiasi cosa, dalla pratica per la pensione italiana fino a casi più complessi afferenti la tutela di particolari diritti.

Ben presto la giunta golpista inizia a mostrare la sua ferocia e sono tanti anche gli italiani che incominciano a finire nelle maglie della repressione. Di questa tragedia le istituzioni italiane vengono puntualmente informate. Solo dal 1976 al 1978 furono presentate più di 1600 denunce all’ambasciata italiana di Buenos Aires, riguardanti persone scomparse con passaporto italiano. Eppure a Roma non si mosse nulla. Perché? Sono state avanzate molte ipotesi al riguardo, tra cui una appare la più plausibile: i militari golpisti erano in gran parte iscritti alla Loggia P2 di Licio Gelli. Poi c’erano gli interessi delle maggiori imprese italiane, alle quali andavano bene rapporti cordiali col nuovo regime. A non far scattare un moto di sdegno immediato nel governo e nei partiti italiani contribuirono anche le modalità scelte dai militari per far fuori gli oppositori: essi venivano sequestrati di notte, portati in centri clandestini e lì torturati fino alla morte. Caricati su aerei, i loro corpi venivano poi buttati nel mare. È la storia di decine di migliaia di desaparecidos, che ormai tutti conosciamo.

In questo clima di silenzi, di omertà, di connivenze e complicità, non tutti però girarono la testa dall’altra parte. Tra questi, tra i giusti che ebbero il coraggio di sfidare uno dei regimi più violenti della storia, ci fu Filippo di Benedetto. Qualcuno, tempo fa, ha scritto: “Filippo Di Benedetto, l’emigrato comunista e l’eroico responsabile a Buenos Aires dell’Inca-Ggil che avrebbe dovuto occuparsi delle pensioni degli emigrati italiani e che invece ruppe gli schemi e si occupò di dar rifugio ai braccati, di preparare passaporti falsi, di fornire i biglietti aerei, di accompagnarli all’aeroporto. La storia non dice quanti furono coloro che si salvarono grazie a loro. Forse un centinaio, forse diverse centinaia” . Iniziamo da qui, da “loro”. Loro chi? Qui ci si riferisce a tre persone, tre italiani che, collaborando tra loro, nell’Argentina di quegli anni salvarono la vita a centinaia di nostri connazionali: Enrico Calamai, viceconsole italiano a Buenos Aires, Gian Giacomo Foà, giornalista del Corriere della Sera e, appunto, Filippo di Benedetto.

In un suo recente libro che ripercorre gli avvenimenti di quegli anni Calamai ricorda che già dopo qualche settimana dal colpo di stato incominciarono a presentarsi alla sede del consolato i familiari delle persone scomparse. In un primo momento il viceconsole tenta un’interlocuzione con le istituzioni, ma ben presto si accorge che sulla vicenda delle sparizioni il regime ha eretto un vero e proprio muro. Capisce allora che l’unica via per impedire che altri italiani finiscano nel nulla è quella di favorire la fuga di quante più persone possibili, tra attivisti politici e sospettati di resistenza al regime. Sono davvero tanti gli argentini di origine italiana che cercano aiuto nel consolato nei primi anni della dittatura: vogliono espatriare, ma non hanno soldi, non hanno mezzi e, prima di ogni altra cosa, non hanno i documenti necessari. Quando il console generale decide, per paura, che quel flusso di persone verso il consolato debba essere in qualche modo bloccato, Calamai non ci sta ed inizia a fare cose che solo una persona dotata di una sterminata sensibilità umana può fare: i richiedenti asilo se li nasconde a casa sua, nelle stanze sotterranee del consolato, dove può, e ad alcuni riesce anche a procurare delle autorizzazioni per farli andare via, in Italia, in altri paesi del Sudamerica.

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Madri di Plaza de Mayo

Tutto ciò non sarebbe stato tuttavia possibile, se il giovane diplomatico non avesse agito sinergicamente con Filippo di Benedetto, come egli stesso ha più tardi riconosciuto. Di Benedetto, già attivo sul fronte della difesa dei diritti umani negli anni sessanta e nei primi anni settanta, sotto le precedenti dittature militari che si susseguirono alla caduta di Peron, si rivelerà un elemento preziosissimo nell’impresa di salvare vite umane dalle mani assassine della giunta golpista guidata da Jorge Rafael Videla. I suoi legami con l’Italia, col Pci, i suoi rapporti permanenti con Giuliano Pajetta, fratello di Giancarlo e responsabile della sezione emigrazione del Partito, la sua conoscenza della comunità italiana, saranno decisivi per la fuga e la salvezza di tanti connazionali minacciati dalla dittatura, ma anche per far arrivare in Italia notizie aggiornate sul clima che regnava in quegli anni in Argentina, sulla durezza della repressione messa in atto dai militari. “C’era il tentativo di lavarsi le mani, di respingere chi chiedeva aiuto. Mi sono trovato piuttosto isolato nel tentativo di dare vita ad un’organizzazione che garantisse al massimo la sicurezza di chi arrivava in consolato. Allora ho avuto aiuto da un sindacalista della CGIL, Filippo di Benedetto. La prima cosa di cui sentii il bisogno era rompere il silenzio stampa, ma i telefoni erano controllati. Filippo pensava così di far arrivare l’informazione in Italia, attraverso suoi amici che lavoravano alle poste, mandando telegrammi, in modo più o meno cifrato”.

Per il suo attivismo a favore dei diritti umani, per aver sfidato la dittatura, Filippo di Benedetto pagò prezzi altissimi. Lui e la sua famiglia. Ho conosciuto personalmente sia lui che alcuni suoi famigliari che in quegli anni sono caduti nelle maglie della repressione e sono rimasto agghiacciato dalle storie che mi hanno raccontato. Molto mi ha colpito la storia di sua nipote, Domenica di Benedetto, figlia di suo fratello Orlando, torturata barbaramente, e di suo marito, Edoardo Czainik, ebreo comunista originario dell’est europa, che non riuscirà a scampare al sequestro e finirà, insieme ad altri trentamila, sulla fredda lista dei desaparecidos. Filippo, che tanti italiani aveva salvato dalla morte, non riuscì a salvare il compagno di un’italiana a lui molto cara, sua nipote. Destino beffardo.

La sua straordinaria umanità è riassunta in queste parole che qualche anno addietro pronunciò nel corso di un’intervista che concesse alla televisione italiana: “Studiavamo sempre un modo nuovo di essere utili agli altri. Non facevamo come quelli che quando gli andavi a parlare di certe cose pensavano subito che gli avresti creato rogne.”

Quando nel 2001 morirà, Gianni Giadresco, partigiano e scrittore romagnolo, di lui dirà: “Chissà se la sua terra d’origine, la Calabria, che lo ha avuto “consultore”, vorrà dedicare un ricordo a questo suo figlio che le ha fatto onore nel mondo, anche se non è diventato uno dei notabili vincenti all’estero. Filippo di Benedetto la sua onestà l’ha dimostrata, vivendo l’umile vita dell’emigrante, rimanendo quello che è sempre stato: povero e onesto.”

[1]Giovanni Villari, Lo strappo del console onorario, Il Manifesto, 04.11.2003.
[2]Enrico Calamai, Niente asilo politico, Diplomazia, diritti umani e desaparecidos, Feltrinelli, 2006.
[3]La storia siamo noi, Enrico Calamai, un eroe scomodo, Mediateca RAI.
[4]Gianni Giadresco, Grave lutto per la Filef la morte di Filippo di Benedetto, Emigrazione notizie, 13.09.2001.

[5]Filippo Di Benedetto, in “La crisi infinita. Problemi e contraddizioni del mondo attuale” di Innocenzo Alfano, Aracne 2009.FELIPE12 001Combien de personnes en Calabre ont entendu parler de Filippo di Benedetto? Et de Oskar Schindler? De ce dernier, un grand nombre, grâce aussi au célèbre film de Steven Spielberg, Schindler’s list qui, il y a quelques années, a fait des ravages dans les cinémas du monde entier. Du premier, sûrement peu, encore que son histoire soit très semblable à celle de l’entrepreneur allemand. Non pas parce que Filippo di Benedetto a été un entrepreneur célèbre, mais parce qu’en Argentine, sous la dictature, il sauva de la mort certaine des centaines de compatriotes.

Filippo Di Benedetto, originaire de Saracena dans la province de Cosenza, où entre 1947 et 1949 il a été maire du PCI, il migra au début des années 50 en Argentine, à Buenos Aires. Comme un grand nombre de dirigeants politiques, lui aussi était un artisan, un menuisier. Mais le destin lui avait réservé un futur bien plus difficile. Dans ce pays sud-américain, en plus de se distinguer pour ses qualités d’ébéniste, il continua à cultiver sa passion la plus grande, la politique, en devenant très vite le représentant officiel du Parti communiste italien dans ces terres lointaines. Mais ce fut dans le syndicalisme qu’il s’engagea plus largement, comme responsable de l’Inca-Cgil, le patronage du plus grand syndicat italien, et puis comme président de la Filef, la Federazione Lavoratori Emigranti e Famiglie (Fédération des travailleurs émigrés et des familles).

Quand, en 1976, les militaires prennent le pouvoir, Filippo di Benedetto est désormais une figure de premier plan parmi les émigrés italiens dans le pays des gauchos, une référence politique et syndicale très importante pour des milliers de compatriotes qui se sont tournés vers lui et vers son organisation pour tout et n’importe quoi, des démarches pour la retraite italienne à des cas plus complexes relatifs à la tutelle de droits particuliers.

Très vite, la junte putschiste commença à montrer sa férocité et un grand nombre d’Italiens finit dans les mailles de la répression. De cette tragédie, les institutions italiennes furent informées régulièrement. De 1976 à 1978 furent présentées plus de 1600 plaintes à l’ambassade italienne de Buenos Aires, concernant des personnes disparues possédant des passeports italiens. Cependant rien ne bougea à Rome. Pourquoi ? Un grand nombre d’hypothèses ont été avancées, parmi lesquelles une semble la plus plausible : les militaires putschistes étaient en grande partie inscrits à la Loge P2 de Licio Gelli. Ensuite, il y avait les intérêts des plus grandes entreprises italiennes qui préféraient continuer à avoir des rapports cordiaux avec le nouveau régime. Les manières choisies par les militaires pour se débarrasser des opposants contribuèrent aussi à ne pas provoquer l’indignation immédiate du gouvernement et des partis italiens : ceux-ci étaient séquestrés la nuit, emmenés dans des centres clandestins et torturés à mort. Mis dans des avions, leur corps était ensuite jeté à la mer. C’est l’histoire de dizaine de milliers de desaparecidos, que nous connaissons tous désormais.

Dans ce climat de silence, d’omertà, de connivence et de complicité, tous ne tournèrent pas la tête de l’autre côté. Parmi ceux-ci, parmi les justes qui eurent le courage de défier l’un des régimes les plus violents de l’Histoire, il y eut Filippo di Benedetto. Quelqu’un a écrit sur lui il y a quelques années: “Filippo Di Benedetto, l’émigré communiste et l’héroïque responsable à Buenos Aires de l’Inca-Ggil qui aurait dû s’occuper des retraites des émigrés italiens et qui, au contraire, rompis les schémas et s’occupa de trouver un refuge aux ouvriers, de leur préparer de faux-passeports, de leur fournir des billets d’avion et de les accompagner à l’aéroport. L’Histoire ne dit pas combien furent ceux qui eurent la vie sauve grâce à eux. Peut-être une centaine, peut-être plusieurs centaines”. Commençons ici, par “eux”. Eux qui? On se réfère ici à trois personnes qui, collaborant entre eux dans l’Argentine de ces années-là sauvèrent la vie à des centaines de nos compatriotes: Enrico Calamai, vice consul italien à Buenos Aires, Gian Giacomo Foà, journaliste du Corriere della Sera et, justement, Filippo di Benedetto.

Dans son livre récent qui retrace les événements de ces années, Calamai se souvient que déjà quelques semaines après le coup d’Etat commencèrent à se présenter au siège du consulat des membres de la famille de personnes disparues. Dans un premier temps, le vice consul tenta de parler avec les institutions, mais très vite, il se rendit compte qu’à propos des disparitions, le régime dressa un véritable mur. Il comprit alors que le seul moyen pour empêcher d’autres disparitions était la fuite du plus grand nombre de personnes, parmi les activistes politiques et les personnes suspectées de résistance au régime. Nombreux ont été les Argentins d’origine italienne qui demandèrent de l’aide auprès du consulat durant les premières années de la dictature : ils veulent s’expatrier, mais ils n’ont pas d’argent, ils n’ont pas de moyens et, avant toute autre chose, ils n’ont pas les documents nécessaires. Quand le consul général décida, par peur, que ce flux de personnes vers le consulat devait être bloqué par quelque moyen que ce soit, Calamai ne fut pas d’accord et commença à faire des choses que seule une personne dotée d’une extrême sensibilité peut faire: il cacha les demandeurs d’asile chez lui, dans les pièces du sous-sol du consulat, où il put et pour certains, il réussit aussi à leur procurer des autorisations pour les faire partir, en Italie ou dans d’autres pays d’Amérique du sud.

Tout ceci n’aurait pu être possible, si le jeune diplomate n’avait pas agi en synergie avec Filippo di Benedetto, comme il l’a reconnu lui-même plus tard. Di Benedetto, déjà actif sur le front de la défense des Droits de l’Homme dans les années soixante et au début des années soixante-dix, sous les dictatures militaires précédentes qui se succédèrent après la chute de Peron, il se révèlera un élément très précieux dans l’entreprise de sauver des vies humaines des mains assassines de la junte putschiste menée par Jorge Rafael Videla. Ses liens avec l’Italie, avec le Pci, ses contacts permanents avec Giuliano Pajetta, frère de Giancarlo et responsable de la section émigration du Parti, ses connaissances de la communauté italienne seront décisifs pour la fuite et la survie d’un grand nombre de compatriotes menacés par la dictature, mais aussi pour faire arriver en Italie les nouvelles sur le climat qui régnait durant ces années en Argentine, sur la dureté de la répression mise en place par les militaires. “Il y eut la tentative de s’en laver les mains, de repousser ceux qui demandaient de l’aide. Je me suis trouvé plutôt isolé dans la tentative de donner vie à une organisation qui garantissait au maximum la sécurité de ceux qui arrivaient au consulat. Alors j’ai été aidé par un syndicaliste de la CGIL, Filippo di Benedetto. La première chose dont il sentit le besoin fut de rompre avec le silence, mais nous étions sous écoutes téléphoniques. Filippo pensa alors de faire arriver les informations en Italie par l’intermédiaire de ses amis qui travaillaient à la Poste, en envoyant des télégrammes, de façon plus ou moins cryptée”.

Pour son activisme en faveur de Droits de l’Homme, pour avoir défier la dictature, Filippo di Benedetto paya le prix fort. Lui et sa famille. Je l’ai connu personnellement ainsi que les membres de sa famille qui, durant ces années, sont tombés dans les mailles de la répression et j’ai été bouleversé par les histoires qu’ils m’ont racontées. L’histoire de sa nièce, Domenica di Benedetto, fille de son frère Orlando m’a beaucoup touché. Elle a été torturée de manière barbare et son mari, Edoardo Czainik, juif communiste originaire d’Europe de l’Est qui ne réussit pas à s’échapper et finira comme trente mille autres personnes sur la liste froide des desaparecidos. Filippo qui réussit à sauver tant d’Italiens de la mort, ne réussit pas à sauver le compagnon d’une Italienne qui lui était chère, sa nièce. Drôle de destin.madres_plaza_mayo

Son extraordinaire humanité tient en ces mots que j’ai prononcés il y a quelques années au cours d’une interview donnée à la télévision italienne: “Nous étudiions toujours un nouveau moyen pour être utile aux autres. Nous ne faisions pas comme certains qui quand tu allais leur parler de certaines choses pensaient tout de suite aux problèmes que tu leur aurais créés.”

Quand, en 2001 mourut, Gianni Giadresco, partisan et écrivain romagnol dira de lui: “Qui sait si sa terre d’origine, la Calabre qui l’a eu comme “conseiller”, voudra se souvenir de ce fils qui l’a honorée à travers le monde, même s’il n’est pas devenu un de ces riches notables à l’étranger. Filippo di Benedetto, son honnêteté l’a démontrée, a vécu une humble vie d’émigré, est resté ce qu’il a toujours été: pauvre et honnête.”

[1]Giovanni Villari, Lo strappo del console onorario, Il Manifesto, 04.11.2003.
[2]Enrico Calamai, Niente asilo politico, Diplomazia, diritti umani e desaparecidos, Feltrinelli, 2006.
[3]La storia siamo noi, Enrico Calamai, un eroe scomodo, Mediateca RAI.
[4]Gianni Giadresco, Grave lutto per la Filef la morte di Filippo di Benedetto, Emigrazione notizie, 13.09.2001.

[5]Filippo Di Benedetto, in “La crisi infinita. Problemi e contraddizioni del mondo attuale” di Innocenzo Alfano, Aracne 2009.FELIPE12 001

Кто в Калабрии слышал о Филиппо  Бди Бенедетто? А Оскаре Шиндлере? Последний, конечно, более известен, благодаря фильму Стивена Спилберга “Список Шиндлера”, который несколько лет назад имел большой успех в кинотеатрах по всему миру. Предположительно в первых, хотя его история очень похожа на немца. Не потому, что Филипп ди Бенедетто был известным  бизнесменом, а потому, что в Аргентине в годы диктатуры, были спасены от неминуемой смерти сотни наших соотечественников.

Филиппо Ди Бенедетто, уроженец Сарачена в провинции Козенца, где в период между 1947 и 1949 был также мэр PCI, в начале пятидесятых годов эмигрировал в Аргентину, в Буэнос-Айресе. Как многие политические лидеры периферии также ремесленник, плотник. Но судьба, отведенное для него будущее гораздо более сложной задачей. В южноамериканской стране, а также выделяются своим качеством как краснодеревщика, он продолжал культивировать свои страсти большой, политику, и вскоре стал официальным представителем итальянской компартии в этих отдаленных землях. Но это было в союзе, который щедро его основные усилия, в качестве главы “инков-ВИКТ, патронажем крупнейшего итальянского профсоюза, а затем в качестве президента Filef, Федерации мигрантов и эмигрантов семей.

Когда в 1976 году военные взяли власть, Филипп Бенедикт теперь ведущей фигурой среди итальянских иммигрантов в земле гаучо, ориентир политической и профсоюзной важной для тысяч соотечественников, что он и его организация обращаются для всего, от практики итальянского пенсии более сложных случаях, касающихся защиты отдельных прав.

Вскоре хунта переворота начинает показывать свою свирепость и также много итальянцев, которые начинают падать в сетку репрессий. Из этой трагедии итальянские учреждения регулярно информировать. Только с 1976 по 1978 более 1600 жалоб были представлены в итальянском посольстве в Буэнос-Айресе, о пропавших без вести с итальянским паспортом. Тем не менее, в Риме он ничего не двигаться. Почему? Там было много гипотез о нем, в том числе, кажется наиболее вероятным: военный переворот в значительной степени, обучающихся в P2 ложи Личо Джелли. Потом были интересы крупных итальянских компаний, которые были хорошими теплые отношения с новым режимом. Не вызвать волну возмущения в непосредственной государственных и партий итальянцев также способствовали выбранные военных вывезти противников режима: они были захвачены ночью, доставили в подпольных центрах и замучены до смерти. Загружено на самолетах, их тела были затем бросили в море. Это история десятки тысяч исчезли, теперь, мы все знаем.

В этой атмосфере тишины, молчания, попустительства и соучастия, они не все, но отвернулся. Среди них, праведники, которые имели мужество, чтобы бросить вызов одному из самых жестоких режимов в истории, был Филипп Бенедикт. Кто-то, давным-давно, писал: “Филиппо ди Бенедетто, который эмигрировал в коммунистических и героической менеджера в Буэнос-Айресе инков-ggil, который должен был заботиться о претензий итальянских иммигрантов, а вместо этого сломал форму и возглавил давая Укрывательство охотились, подготовка фальшивые паспорта, чтобы обеспечить билеты, чтобы сопровождать их в аэропорт. История не сказать, сколько те, кто были спасены благодаря им. Возможно, сто, может быть, несколько сотен “. Давайте начнем отсюда, из “них”. Они кто? Здесь мы имеем в виду трех человек, три итальянца, который, сотрудничая друг с другом, в Аргентине в те годы спасли жизни сотен наших соотечественников: Энрико Calamai, итальянский вице-консул в Буэнос-Айресе, Джан Джакомо Фоа, журналист BBC и Именно Филипп Бенедикт.

В недавно вышедшей книге, что прослеживает события тех лет Calamai напоминает, что через несколько недель после переворота начали появляться в месте консульства семьям пропавших без вести лиц. Сначала вице-консул пытается un’interlocuzione с учреждениями, но вскоре понимает, что по вопросу об исчезновениях режима воздвиг настоящий стену. Тогда он понимает, что единственный способ предотвратить другую итальянскую оказаться в чем, чтобы помочь побега, как много людей, как это возможно, в том числе политических активистов и подозреваемых сопротивления режиму. Многие аргентинцы итальянского происхождения, которые обращаются за помощью в консульство в первые годы диктатуры: они хотят, чтобы покинуть страну, но не имеют денег, они не имеют никаких средств, и, прежде чем все остальное, что они не имеют необходимых документов. Когда генеральный консул решает, опасаясь, что поток людей в консульство должны быть каким-то образом блокируется, Calamai есть и начать делать то, что только человек с огромной человеческой чувствительности можно сделать: если лиц, ищущих убежища Он скрывается их в своем доме, в подземных помещениях консульства, где он может, а некоторые могут даже получить разрешение, чтобы сделать их уйти, в Италии, и в других странах Южной Америки.

madres_plaza_mayoMadri из Пласа-де-Майо
Это не было бы возможным, однако, если молодой дипломат действовал не синергически с Филиппом Бенедикта, как он сам позже признал. Бенедикт, уже активно в защите прав человека в шестидесятых и начале семидесятых годов, в соответствии с ранее военных диктатур, которые последовали падение Перона, окажется ценным элементом на предприятии, чтобы спасти жизнь от кровожадных рук путчистских хунта во главе с Хорхе Рафаэль Видела. Его связи с Италией, с Коммунистической партией, его отношения с постоянным Pajetta Джулиано, брата Джанкарло и главы эмиграции партии, его знания итальянского сообщества, станет ключевым для выхода и спасения многих соотечественников, которым угрожает диктатура, но также, чтобы прибыть в дате Италия новости на климат, который преобладал в то время в Аргентине, твердости репрессий военных. “Был попытка умыть руки, чтобы отклонить те, кто обратился за помощью. Я довольно изолированы в попытке создать организацию, которая бы обеспечивала максимальную безопасность тех, кто прибыл в консульстве. Тогда я была помощь от союза ВИКТ, Филипп Бенедикт. Первое, что я почувствовал, было необходимо, чтобы сломать новости затемнение, но телефоны были контролироваться. Филипп думал, что путь, чтобы получить информацию в Италии, через его друзей, которые работали на почте, отправив телеграммы, в более или менее зашифрованную “.madres_plaza_mayo

Для его активности в пользу прав человека, за игнорирование диктатуры, Филипп Бенедикт заплатили высокие цены. Он и его семья. Я лично знал и он, и некоторые из членов его семьи в те годы упали в сети репрессий, и я продрог по рассказам, они сказали мне. Очень впечатлил меня историю своего племянника, воскресенье Бенедикт, дочери своего брата Орландо, жестоко пытали, и ее мужа, Эдвард Czainik, еврей оригинал коммунистической Восточной Европе, которая не будет в состоянии избежать ареста и закончится вместе другой тридцати тысяч, на холодном списке исчезнувших. Филипп, что многие итальянцы спас от смерти, он не мог сохранить спутника итальянской женщины очень дорогого ему, его племянник. Дразнящий судьбу.

Его необычайно человечество подведены в этих словах несколько лет назад, которые говорили в интервью, предоставленного итальянскому телевидению: “Мы всегда изучал новый способ быть полезным для других. Не понравилось, что, когда вы собираетесь поговорить о некоторых вещах сразу подумал, что было бы создать проблемы “.

В 2001 году, когда он умрет, Джанни Джадреско – партизан и писатель Романья ему сказал: “Мне интересно, если его родина, Калабрия, который имел« Консультант », посвятит памяти этого сына, что он сделал честь в мире, хотя он стал одним из наиболее заметных победителей за рубежом. Филипп Бенедикт продемонстрировал свою честность, живущий скромный жизнь эмигранта, он остается, что он всегда был: бедные и честные “.