Lockdown e pandemia come occasioni per uno studio scientifico, multidisciplinare, sul rapporto persona-ambiente e sull’importanza dell’ambiente per quanto riguarda i livelli di benessere personale e collettivo. Il lavoro, pubblicato recentemente sulla rivista della Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale “Forest@”, è a firma di Sonia Vivona, Nelide Romeo e Antonella Veltri dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (Isafom Cnr) di Rende (Cosenza) e di Paola Sdao del Dipartimento di Matematica dell’Università della Calabria.
L’ambito d’intervento, come si legge nel testo , “comprende spazi verdi pubblici di ogni tipologia, ma anche gli spazi privati ad uso collettivo quali gli spazi verdi condominiali che hanno rappresentato, durante il periodo di lockdown per la pandemia da Covid-19, luoghi importanti ai fini del benessere e del contenimento dello stress e della ricerca di socialità”.
Si evidenzia, quindi, come il rapporto tra ambienti naturali e benessere psico-fisico rientri tra i “benefici dei servizi ecosistemici”, definiti dal Millenium Ecosystem As sessment (MEA 2005), progetto lanciato dalle Nazioni Unite nel 2001, “i benefici multipli forniti dagli ecosistemi al genere umano” e come in Europa sia in crescita la domanda di detti servizi, anche “in conseguenza di processi di urbanizzazione, di cambiamento degli stili di vita e dell’aumento della consapevolezza ambientale”.
La ricerca è stata condotta sul campo, a partire dal mese di aprile del 2020, attraverso un questionario-studio predisposto su piattaforma Google Form. Le interviste sono state somministrate ad un campione di 124 persone, tutte over 65, di cui 109 residenti nelle regioni test individuate nella Calabria (49,5%) e nella Lombardia (50,5%).
Dall’elaborazione delle risposte è venuto fuori che la permanenza in ambienti naturali, il rapporto con l’esterno e con il verde che ci circonda rappresentano sempre più elementi importanti di benessere personale e collettivo, a maggior ragione nell’attuale crisi pandemica.
La pandemia da Covid-19, infatti, ha fortemente modificato le abitudini di vita di ognuno e ha trasformato le relazioni inter-personali e il rapporto con il mondo esterno. In questo contesto, è aumentato il numero dei visitatori dei parchi urbani, la cui presenza ed accessibilità nei contesti urbani ha svolto una funzione di mitigazione degli effetti negativi del confinamento.
Non solo. Nello studio si segnalano anche le iniziative che “incoraggiano a vivere la città e gli spazi verdi senza segregazioni o marginalizzazioni sociali”. Tra queste, “l’agricoltura sociale”, un fenomeno che si sta sempre più affermando sia in città che in campagna, capace di “indirizzare verso un modello di welfare in cui la tutela ambientale, la valorizzazione delle persone e l’integrazione sociale possano trovare la loro massima espressione”. Come, per gli anziani/e, l’esperienza nelle fattorie sociali, anche ai fini di un reinserimento socio-lavorativo. E gli “orti condivisi”, appezzamenti di terreno di piccola dimensione incastonati nelle città, molte volte in quartieri o aree degradate, gestiti dai comuni o da associazioni senza scopo di lucro, che “possono essere considerati parte integrante di questo nuovo modo di fare eco-socialità aggregata”.
La pandemia, insomma, si sta rivelando come un’occasione inaspettata ma proficua per “ripensare le politiche di pianificazione urbanistica al fine di rispondere sempre meglio ai bisogni delle comunità”. “Appare fondamentale – è la conclusione dello studio – pertanto vivere in una città age friendly che incoraggi il mantenimento di corretti stili di vita offrendo occasioni quotidiane di socializzazione e di contatto con la natura, come percorsi pedonali verdi e protetti, orti urbani, micro-parchi di quartiere. Un mix di versificato di aree verdi facilmente raggiungibili a piedi dovrebbe rientrare in una pianificazione urbanistica di infrastrutture di verde urbano, articolata e inclusiva”.