A Parigi, luogo multiculturale per eccellenza, si è tenuto un evento che unisce musica e solidarietà e tale avvenimento tenutosi a giugno è vicino alla Calabria. Nicola Sergio, pianista e compositore, ha partecipato attivamente. Il musicista, nativo di Polistena, ha vissuto a Galatro, centro della provincia di Reggio Calabria e dal 2008 si è stabilito in Francia dove ha trovato l’ambiente ideale per il suo genere prediletto: il jazz.
Sono i nove jazzisti di diversa nazionalità che hanno preso parte al concerto di Parigi “Jazz pour Nepal”, un evento i cui fondi sono raccolti dall’associazione “Partage dans le Monde” che porterà aiuti umanitari in alcuni villaggi del Nepal. Situazione terribile in quel paese, dopo il terremoto in maggior misura; gli stessi villaggi già in sofferenza stanno ora vivendo una condizione allo stremo.
Nicola Sergio ha aderito immediatamente alla proposta dell’associazione francese, coinvolgendo alcuni suoi amici musicisti. Con lui si è parlato del concerto “Jazz pour le Népal”, ma non solo. Abbiamo colto l’occasione per capire l’esperienza musicale di un jazzista italiano a Parigi.
Nicola, cosa caratterizza il jazz dagli altri generi musicali?
Sicuramente le differenze all’interno del jazz sono molteplici, la bellezza sta nel poter incontrare estetiche diverse, nel poterle combinare insieme, trovare tra le molteplici differenze i propri benefici.
Vivi all’estero da diversi anni, cosa ti ha portato a scegliere Parigi?
Uno dei motivi per cui sono venuto in Francia è perché Parigi è una delle città più multiculturali al mondo, come New York. La capitale francese lo è particolarmente nel jazz. Penso che l’identità culturale si forma maggiormente attraverso il confronto con le altre influenze, da tutto il mondo.
Il jazz nel periodo attuale, verso quale direzione va?
Io prediligo l’aspetto più melodico, vicino alla formazione classica piuttosto che quelli ritmico o armonico. Ma incontrarsi con numerosi musicisti, mi permette di poter cogliere sfumature importanti per definire la mia unicità. La caratteristica del jazz sta proprio nella continua fusione e nella contaminazione con altri generi. Forse le nuove generazioni si rivolgono un po’ più al rock e all’elettronica; anche la musica etnica, spesso legata al luogo di provenienza, si combina molto spesso col jazz. Io sono convinto che la melodia è quella che rimane maggiormente al pubblico, la più duratura nel tempo. Nell’incontro con la musica classica sono importanti le collaborazioni con quartetti d’archi, violoncello e violino. Comunque l’improvvisazione è la caratteristica sempre presente in questo genere musicale. Ci sono bravi jazzisti tedeschi, francesi, svedesi e molti italiani scelgono di trasferirsi a Parigi. Questa città può essere una “piattaforma di lancio”, anche se lo spazio è poco e bisogna essere molto determinati.
Come accennavamo all’inizio il jazz è legato alle tematiche sociali da sempre e in questo senso il titolo del tuo ultimo lavoro, “Migrants”, sembra proprio rispecchiare il nesso. Il riferimento è ai migranti del Mediterraneo?
Il disco “Migrants” è rivolto a tutti i migranti a livello mondiale, senza alcuna distinzione. Ho cercato di riportare stilisticamente in musica le sensazioni che prova chi arriva da un altro paese, soprattutto le prime difficoltà in cui si imbatte. E in questo senso c’è anche la mia esperienza personale.
Il jazz come stile di vita: cosmopolita, si apre al mondo, alle sue sofferenze e alle sue mille sfaccettature, la spontaneità e quindi l’improvvisazione risultano spesso i valori che spiccano. Nella musica e nell’atteggiamento. E noi siamo fieri che anche un po’ di Calabria rientri in questo stile.