Il Castello di Squillace e il mistero degli “amanti”

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Per gli appassionati di castelli, e delle leggende che spesso ad essi sono legate, Squillace, in provincia di Catanzaro, è una tappa obbligata. Qui, infatti, è possibile visitare i resti di un antico maniero dalle ciclopiche mura in pietra, sul cui portale bugnato campeggia l’arma in marmo della famiglia Borgia, noto ormai per il mistero degli “scheletri abbracciati”.

Nel 1044 Squillace venne conquistata dai Normanni, divenendo una delle più grandi contee feudali del Sud. E furono proprio i Normanni a costruire, dove sorgeva una fortificazione di epoca bizantina – ultimo baluardo conquistato dagli arabi in Calabria nel 904 – il Castello, cui diedero il nome di Stridula, per il rumore “stridulo”, appunto, che il vento provoca insinuandosi tra le sue mura. Architettonicamente, il complesso si presenta con una struttura discontinua, evidentemente perché lo stesso, nei secoli, fu oggetto di diversi rimaneggiamenti, aggiunte e riqualificazioni funzionali. La facciata consta di due torri imponenti, una cilindrica e l’altra poligonale.

Vi soggiornò Ruggero I d’Altavilla, detto il Normanno, al cui nome è legata la rinascita di Squillace dopo la parentesi bizantina ed araba. In questo periodo, infatti, oltre all’avvio di riforme del rito religioso, si stabilì presso la comunità di Squillace un clima di pacifica e proficua convivenza tra lingue, stirpi e culture diverse. La dinastia degli Altavilla, che dominò Squillace per circa un secolo, espresse personalità come Roberto il Guiscardo, i Conti Ruggero, Eberardo, Guglielmo e Riccardo, ma anche importanti figure femminili come Adelaide, Elisabetta, Sichelgaita e Medania. E’ documentato che il Castello fu teatro, il 29 luglio del 1098, di un incontro tra il gran Conte Ruggero d’Altavilla e San Bruno di Colonia, alla presenza del beato Lancino e dell’ultimo Vescovo di rito greco-bizantinoTeodoro Misimerio.

tic-squillace01Il catastrofico terremoto del 1783 non risparmiò nemmeno il Castello di Squillace. La forza di quel sisma, infatti, provocò numerosi crolli nella struttura, modificandone per sempre il profilo.

Il mistero degli “amanti” sepolti (vivi?)

All’inizio degli anni novanta, sbarca a Squillace Ecole Francaise, prestigioso istituto d’Oltralpe con sede a Roma, specializzato in ricerca storica, archeologica e sociologica, per avviare una campagna di scavi al Castello. Nel corso della stessa, vengono riportati alla luce due scheletri “avvinti in un tenero abbraccio”, sepolti nell’angolo interno della rocca, in coincidenza della torre poligonale. I loro piedi sono rivolti a nord – est, avendo  la torre come riferimento, e si tengono mano nella mano, con i crani rivolti l’uno verso l’altro. Circostanza che ha scatenato la fantasia di studiosi e semplici curiosi sulla loro identità e sulla loro triste sorte. Dagli accertamenti scientifici della Soprintendenza alle Antichità della Calabria e dagli stessi studi effettuati dagli esperti della Ecole Francaise, risulta che gli scheletri appartengono ad una donna e ad un uomo vissuti a cavallo tra il 1200 ed il 1300. Il maschio era alto 1,70 mt, la femmina 1,68. scheletri

Considerato il periodo in cui, presumibilmente, avvenne la loro morte e si consumò il loro (inusuale) seppellimento, ma anche la statura dei loro corpi, è ipotizzabile che non si trattasse di gente del posto. Molto più probabilmente, si potrebbe pensare ad un’origine “nordica” degli stessi, che sarebbe suffragata anche dal particolare contesto in cui si sarebbero consumati gli avvenimenti. Il contesto, appunto. Se da un lato è difficile azzardare ipotesi sulla specifica vicenda dei due “amanti”, senz’altro è utile, dall’altro, inquadrare il periodo in cui il fatto sarebbe accaduto.

Guido Rhodio, giornalista, politico e fondatore dell’Istituto di Studi su Cassiodoro e il Medioevo in Calabria, a tal proposito, su un numero della rivista Vivarium Scyllacense, scriveva: «E’ nella successione di questi trambusti turbinosi, rimasti tuttora ampiamente inesplorati, che va collocato il mistero dei giovani amanti sepolti vivi nel Castello di Squillace, i cui scheletri teneramente abbracciati sono stati scoperti nel corso di recenti scavi archeologici della Ecole Francaise», riferendosi ai conflitti ed alle trame, spesso oscure, che segnarono le relazioni e gli avvicendamenti al potere tra Svevi, Angioini ed Aragonesi tra il 1200 e il 1300 nello specifico teatro calabrese e squillacese. Manifestando una certa fiducia, poi, negli esiti degli esami sui resti della coppia, concludeva: «Si potrà sapere, cioè, se la vicenda sentimentale dei due giovani innamorati o amanti sia stata conseguenza dei terribili e funesti conflitti registrati nel maniero squillacese tra famiglie di bizantini e normanni, di normanni e svevi o di svevi e angioini e aragonesi, oppure se va spiegato come l’epilogo di un amore impossibile e senza ritorno maturato, contenuto ed esploso all’interno di una stessa famiglia di Signori e Dignitari o Cavalieri della Corte feudale squillasse». Chissà, per adesso (fortunatamente) il mistero rimane.