Quando parliamo di Calabria pensiamo al mare, alla montagna, alla sua storia legata alla cultura greca, araba, bizantina e normanna. Alla bellezza di una natura straordinaria, si somma anche un sottosuolo ricco di minerari di diverso genere, con giacimenti sparsi in tutto il territorio. Queste aree rappresentano oggi siti di straordinario interesse per l’archeologia industriale e luoghi da valorizzare per un’esperienza turistica capace di regalare fascino e avventura.
Un censimento del 2006 del Ministero dell’Ambiente (“I siti minerari italiani”) ha contato in Calabria sessanta giacimenti, tra miniere a cielo aperto e sotterranee, principalmente di zolfo e feldspati (utilizzati per la produzione di ceramiche e vetro), ma anche di grafite, salgemma, caolino e tanti altri; non mancano minerali preziosi come l’oro e l’argento.
L’utilizzo dei minerali naturali vede la sua origine in tempi antichissimi, il rame per esempio, che si usa da circa dieci mila anni e che oggi è indispensabile per le reti elettriche e le telecomunicazioni, si trova in abbondanza in provincia di Reggio Calabria e Cosenza.
Nel 1886 l’ingegnere Emilio Cortese, responsabile del Corpo Reale delle miniere d’Italia – istituzione del Regno di Piemonte, passata allo Stato Italiano dopo l’unificazione – scriveva nel suo diario: “trovate, poco a Sud di Reggio, le vestigia di una fonderia di rame…”.
Tornando ai feldspati e alla ceramica, sempre Cortese ci racconta come siano stati utilizzati per i celebri manufatti dell’azienda toscana Ginori: “La materia pura è portata a Tropea ed imbarcata su grosse barche a vela. Viene acquistata quasi tutta dal Ginori di Firenze, dopo accurata macinazione”.
Oggi a Roma, nel Palazzo del Quirinale, è conservato un servizio da dessert realizzato da Ginori nel 1880 per il Re Umberto I, creato proprio con materiali estratti in Calabria che, rispetto agli altri, presentavano un’elevata purezza.
Il caso Ginori non è l’unico esempio di emigrazione mineraria; l’antracite estratta dalle miniere di Agnana Calabra (RC), per esempio, venne utilizzata per la costruzione della linea ferrata italiana Roma-Frascati nel 1882.
Sempre ad Agnana Calabra, in una miniera di lignite, è stato trovato un fossile di Antracoterio, un mammifero vissuto sulla Terra circa trenta milioni di anni fa; oggi i resti sono custoditi presso il Museo di Paleontologia dell’Università Federico II di Napoli.
Di esempi se ne potrebbero fare moltissimi: lo zolfo estratto dai Greci per coltivare la vite e per le cure termali, come scriveva Plinio il Vecchio; l’argento di Longobucco usato da Carlo V per produrre monete; il ferro estratto dai Romani a Pazzano e così via.
Oggi le miniere sono quasi tutte chiuse e dismesse, alcune di queste, però, grazie all’invettiva di associazioni e istituzioni, sono diventate attrazioni turistiche.
Un esempio è l’Ecomuseo delle Ferriere e Fonderie di Calabria aperto a Bivongi nel 1984 grazie all’impegno della A.C.A.I. (Associazione Calabrese Archeologia Industriale), nato con lo scopo di recuperare e promuovere un turismo ecosostenibile legato alla storia industriale e mineraria della valle dello Stilaro.
Sono tanti i luoghi che sono stati ristrutturati, tra cui una centrale idroelettrica, l’ingresso in marmo della miniera di Pazzano e una casa-albergo.
Quando il Covid ce lo consentirà, si potranno fare delle visite a tema, organizzate in diversi percorsi: itinerario dell’acqua e della metallurgia, con visita alla cascata del Marmarico e alla Fonderia Ferdinandea; itinerario delle miniere, dei mulini e itinerario religioso, che conduce alla cattolica di Stilo.
Ciò che resta di una fiorente attività estrattiva e industriale è ancora lì, consumata dal tempo ma capace di suggestionare e farci scoprire il passato di una regione e di un Sud che ha tanto da raccontare e da insegnare. Perché raccogliendo ciò che c’è stato di buono, si può reinventare un futuro degno della nostra storia.
Sul sito dell’Ecomuseo è possibile prendere visione delle 5 aree in cui è stato articolato il progetto; merita una visita anche il Museo delle Reali ferriere ed Officine di Mongiana. Una sezione del Museo di Archeologia Industriale e della Cultura Materiale, è stato attivato nei locali dell’ex convento basiliano di San Giovanni Theresti.