Alla scoperta dell’agricoltura eroica di Agrì Costa Viola: il vino che protegge il territorio e fa conoscere la terra del Mito

Il vino è la poesia della terra”, scriveva Mario Soldati.
Un pensiero che riemerge, scorrendo con lo sguardo i filari ordinati dei vigneti sulle verdeggianti colline della Costa Viola.
Infiniti intrecci di viticci e graspi, di chicchi turgidi e promettenti, affacciati sui ripiani che digradano, ebbri, sul mare smeraldino di Scilla e Bagnara.

Il 2020 segna la data di nascita di una “missione”: trasformare “l’interesse per il recupero del territorio in una vera e propria passione, avvalendosi delle risorse di una terra profondamente vocata all’agricoltura”.

In direzione “ostinata e contraria”, senza alcun dubbio: in un mondo paralizzato dal Covid, sulle verdi colline della Costa tirrenica sbocciava una coraggiosa idea e si tramutava in realtà.

Siamo in contrada Granaro, l’altopiano panoramico che guarda lo Stretto, una area costiera fiera e impervia che continua a stupire con le sue continue riscoperte.
È la Costa Viola, dai colori inebrianti, le cui colline terrazzate emanano profumi, promettono sapori, sprigionano colori tipicamente violacei.

Qui è stata fondata la cooperativa Agrì Costa Viola, una comunità di viticoltori divenuti autentici custodi di un incredibile patrimonio di vigneti.

Nata come comunità slow food per il recupero dei terrazzamenti costieri, la comunità “ha coniugato negli anni un’opera preziosa di recupero delle aree terrazzate e dei sentieri costieri per la valorizzazione di questa terra”.
Così si raccontano sul loro sito i viticoltori costituiti in coop agricola, “con l’impegno di mettere in rete risorse, relazioni e competenze e l’obiettivo di esprimere le potenzialità del territorio, per ricreare nuove sinergie tra turismo e qualità dei prodotti”.

“Siamo un gruppo di folli”: Maurizio Gramuglia, direttore commerciale di Agrì Costa Viola, si lascia scappare un pensiero e un sorriso, quando gli chiediamo di raccontarci la storia di questa “comunità” che ogni giorno si arrampica sulle vigne per il recupero dei terrazzamenti costieri e delle piccole aziende agricole locali costituite in cooperativa, in queste terre scoscese e meravigliose.

Una storia affascinante, articolata in diverse azioni che hanno al centro l’amore per il territorio e per il vino, ma soprattutto il desiderio di comunicarlo agli altri.

Da qui nasce, ad esempio, l’idea dei “wine tour”: percorsi a tappe, come quello che prende avvio dall’antico mulino del borgo Ceramida, ripercorrendo le antiche vie del vino lungo via Parmento, per arrivare alle lussureggianti tenute dove si possono assaporare i prodotti Agrì Costa Viola e gustare vini indimenticabili.

Antichi sentieri, come quello Francese, e terrazzamenti affacciati sul Tirreno, per escursioni che proseguono in barcasulle rotte di Ulisse e alla scoperta di oasi naturali, come la magica Cavajancuja.

I Wine Tour sono un calendario fatto di eventi, un vero e proprio percorso con lo scopo di unire ai famosi itinerari costieri e al vino, le arti visive, le tradizioni locali e la cucina del territorio.

Al cuore di questo progetto ci sono uve autoctone da cui si estraggono nettari inebrianti per purezza e gusto.

Lo zibibbo di Bagnara ne è il prìncipe: vitigno autoctono, frutto di una storia antica che risale alle prime coltivazioni su terrazzo.

 

Per entrare nello spirito più autentico di questa narrazione, che incanta come una bellissima fiaba, Yes Calabria ha incontrato Maurizio Gramuglia.

Al direttore commerciale di Agrì Costa Viola abbiamo chiesto di ripercorrere le origini di questa avventura. E di portarci per mano tra storie e filari.

“Ci siamo costituiti in cooperativa dopo una esperienza insieme di un anno, come comunità slow food fatta da molti dei soci che sono poi confluiti nella coop. Pensavamo, attraverso slow food, di valorizzare questo territorio con il nostro progetto di recupero dei terrazzamenti di queste bellissime aree calabresi. Il 19 novembre 2020 abbiano fondato la cooperativa: undici soci, di cui tre aziende agricole che producono uva”.

In un mondo paralizzato dalla pandemia, voi avete date un nuovo corso alle vostre attività. Chi vi ha dato questo coraggio?

“In realtà noi avevamo già conferito l’uva e fatto il mosto: questo vino andava venduto. Così il coraggio è venuto da sé, mosso anche dall’urgenza di agire. Ed eccoci qui”.

La vostra viene definita “agricoltura eroica”: perché?

“Agricoltura eroica perché solo dei pazzi, o degli eroi legati dall’amore a questa terra, possono salire cento gradini ogni mattina e avviare la coltivazione di questi vitigni. È vero che si gode un panorama stupendo, ma sei sempre sul ciglio del precipizio”.

Fare “comunità”: “insieme” significa non rappresentare se stessi, ma un intero territorio. Come si arriva a questo risultato?

“Noi veniamo da esperienze di più associazioni che negli anni si sono impegnate a valorizzare questo territorio: antichi sentieri, eventi, agricoltura, prodotti tipici. Alla fine, mettendoci insieme abbiamo fatto sintesi, attraverso questa cooperativa che ha nel suo statuto non solo la produzione vinicola, ma anche il recupero delle armacìe, l’arte dei muri a secco riconosciuta patrimonio Unesco, le visite nei vigneti, lungo i sentieri del Tracciolino e del Francese, lo sport all’aperto e le escursioni. Sintesi significa mettere insieme trekking e buona tavola, percorsi turistici, dai vitigni al mare alla tavola. Sempre con un buon bicchiere di vino. Il vino è il cuore di tutto ciò che il territorio può offrire”.

Come si svolge il lavoro in queste vigne impervie? Vi spostate sulla monorotaia?

“Ci sono delle monorotaie degli anni Novanta. Vorremmo anche attivarne di nuove: agevolerebbero la produzione e il recupero di nuove terrazze. E recuperare terrazze significa salvare terreni. Stiamo cercando di avviare il recupero di altri 15.000 metri quadri di terrazzi. Al momento ne abbiamo, di già abitati, 20.000 metri quadrati”.

Entriamo in cantina: bianchi, rossi, passiti e spumanti. Parliamo di questi estratti preziosi che rappresentano questa terra.

“Attraverso i nostri vini, in particolare il Gramà, che è il nostro principale vino della Costa Viola, abbiamo deciso di far conoscere e valorizzare questo territorio. Il termine Gramà viene dal nome della parete rocciosa che regge l’altopiano che si erge di fronte al porto di Bagnara”.

Si può dire che lo zibibbo sia il prìncipe di questo regno? Possiamo spiegarne le ragioni e le particolarità?

“Lo Zibibbo: si racconta che lo portarono qui i Fenici, insieme con la tecnica della caccia al pescespada. Sono, queste, due peculiarità della nostra costa. Si chiama “caccia”, e non pesca, del pescespada perché il pesce viene arpionato. Anche questa un’arte antica. Antica come lo zibibbo: dal 2014 questa uva si può vinificare. E così abbiamo deciso di non fare solo passito, ma di vinificare. Anche perché il nostro zibibbo, rispetto a quello siciliano, ha sentori molto intensi perché è a contatto con i venti che provengono dal mare. Il nostro Gramà è molto, molto profumato”.

E c’è il Greco “Cavajancuja”: una storia davvero entusiasmante. Di amazzoni, libertà e amore. Ce la racconta?

“Cavajancuja – nel nostro dialetto antico e come riportato nei documenti degli archivi storici di Seminara – significa letteralmente “Qua va lei, con lei”. È una spiaggia lesbo ante litteram, che riprende il mito delle amazzoni. Pare che queste, abbandonando Troia ormai sconfitta, e non potendo ritornare nella propria terra, vagarono nel Mediterraneo approdando infine nella penisola italica; così, attraversarono lo Stretto e, vedendo l’Aspromonte che ricordava loro la terra natìa, si fermarono. Ogni anno, rammentando l’approdo e la fondazione di Sinopoli, le amazzoni celebravano i loro riti di ringraziamento in questa spiaggia tra Bagnara e Palmi. Oggi la Cala è un’autentica oasi”.

Parliamo dei “rossi”: cosa possiamo dire di questi vini carichi di passione?

“I nostri rossi più “importanti” sono il Donna Caterina e il Nero Aspromonte. Entrambi fatti di nerello calabrese. Sono vini strutturati, da bere da settembre in poi. Andiamo orgogliosi anche del nostro Brezzolino, vino rosso da bere fresco d’estate, che proviene da uve della Costa Viola. Su questo stiamo rielaborando un progetto per realizzarlo con un altro vitigno antichissimo della nostra costa”.

C’è tanta storia nella vostra attività e il presente trabocca di passione. Cosa si scorge all’orizzonte, attraverso i filari e i promettenti chicchi d’uva di AgrìCosta Viola?

“Il nostro è un progetto a lunga scadenza, che vuole unire gli sport outdoor con la valorizzazione del territorio, con le terrazze, i sentieri, la conoscenza e lo sviluppo di vini autoctoni. C’è la voglia di fare bene, perché crediamo ancora che ci sia un altro futuro, per questa terra. E che si debba costruire adesso. E insieme”.